- 7 Gennaio 2022
- Posted by: Luca Ambrisi
- Categoria: Articoli e Interviste
Inflazione, riduzione degli stimoli monetari e rialzi dei tassi sono le principali dinamiche con cui abbiamo lasciato il 2021.
Luca Ambrisi offre una panoramica dal nostro Ufficio Studi sugli andamenti delle principali valute rispetto all’Euro nel corso del 2021 e sulle azioni dei banchieri centrali. Ci sarà una nuova era all’orizzonte dopo un decennio di espansione monetaria?
Si è archiviato il 2021, l’anno delle vaccinazioni di massa, delle varianti Delta e Omicron, della ripartenza post lockdown, dei green pass, della ripresa economica, dei colli di bottiglia in alcuni settori e dell’aumento vertiginoso del prezzo di alcune materie prime. In questi dodici mesi i mercati finanziari hanno avuto un andamento positivo ma, per varie ragioni, sono entrati in gioco nuovi elementi di rischio, potenzialmente capaci di spostare gli equilibri nel 2022, primo fra tutti il fenomeno dell’inflazione, che pone FED e BCE di fronte a scelte non semplici. Quella che inizialmente era stata definita come un’inflazione transitoria dovuta a forti squilibri tra domanda e offerta, con il passare dei mesi sembrerebbe essersi trasformata in un’inflazione destinata a perdurare nel tempo.
Negli ultimi dodici mesi è stato evidente a livello globale il cambio di rotta dei banchieri centrali: politiche di tassi bassi e piani di stimoli per sostenere il sistema monetario attraverso l’immissione di ingenti masse di liquidità, hanno lasciato gradualmente spazio a numerosi aumenti dei tassi e politiche monetarie più restrittive. Tenendo conto di un gruppo di circa ottanta Stati sovrani, tra cui tutti quelli più rilevanti, nel 2021 sono stati effettuati 14 ribassi dei tassi su scala globale a fronte di ben 113 aumenti; nel 2020, considerando gli stessi Stati, i tassi erano stati abbassati 207 volte a fronte di soli 9 rialzi.
A livello di mercato valutari, al netto di alcune eccezioni, si può affermare che quella del 2021, a differenza di quanto accaduto nel 2020, sia stata un’annata positiva per i detentori di valute estere dal punto di vista di chi ha l’Euro come riferimento. La tabella che segue mette in luce proprio questa dinamica e riporta i livelli di cambio a inizio 2021, a fine 2021 e la variazione percentuale nell’arco dei 12 mesi. In essa vengono anche riportati i livelli dei tassi base all’inizio e alla fine del periodo e il numero degli aumenti e/o ribassi dei tassi base attuati dalle rispettive Banche Centrali.
Analizzando le divise più scambiate a livello internazionale nei confronti della moneta unica, il renminbi cinese, insieme al dollaro taiwanese (TWD) che è ad esso strettamente correlato, è stata quella che più si è apprezzata (+10,83%), con l’EUR/CNY passato da 8 a circa 7,20. Seguono dollaro canadese (+8,18%) e dollaro USA (7,44%) con l’EUR/CAD protagonista di un movimento da 1,56 a 1,44 e l’EUR/USD ritornato in area 1,12-1,13, livelli che non toccava da 18 mesi. Buona anche la performance della sterlina (+6,27%), con l’EUR/GBP che proprio l’ultimo giorno dell’anno ha toccato il minimo di periodo a 0,8368. Tale accelerazione, che potrebbe essere solo la prima fase di un ulteriore rafforzamento, è stata anche agevolata dalla decisione della Bank of England di portare il tasso base dallo 0,10% allo 0,25%, rialzo che mancava dall’agosto 2018.
Con i prezzi del petrolio passati da gennaio a dicembre da 48 a 76 dollari e i prezzi del gas naturale alle stelle, hanno potuto beneficiare di flussi in entrata anche tutte quelle monete storicamente collegate alle quotazioni degli idrocarburi: è il caso del rublo (+6,04%), della corona norvegese (+4,56%), sebbene entrambe abbiano vissuto il loro momento migliore a fine ottobre in concomitanza con i massimi annuali del petrolio a 85 dollari al barile. In questa categoria di valute rientra anche il peso messicano (+4,14%). Altro fattore che ha accumunato queste tre economie nel 2021 è stata la crescita molto marcata dell’inflazione accompagnata da una serie di rialzi dei tassi da parte delle rispettive Banche Centrali: sono stati infatti ben sette i rialzi della massima autorità monetaria russa, cinque quelli attuati dal Banco de Mexico e due quelli posti in essere dalla Norges Bank. Destini abbastanza divergenti per le due più celebri divise rifugio: forte il franco svizzero (+4,26%) tornato in area 1,03 dopo oltre sei anni, debole lo yen giapponese (-3,61%).
L’eccezione negativa, a tratti sconvolgente, è quella della lira turca (-40%, con un picco a -55%). Il cambio EUR/TRY (grafico) aveva aperto l’anno in area 9 ma con il passare del tempo inflazione galoppante, mancanza di credibilità della Banca Centrale e del governo, ribassi dei tassi inattesi, rapporti con l’Occidente sempre più difficili lo hanno portato a chiudere il periodo a 15,08. Lo scenario di forte instabilità è destinato a perdurare: l’andamento nel mese di dicembre è stato da montagne russe: da 15 in poche sedute è passato a 19,40 per poi in quattro sole sedute passare da 20,75 a 11,63 e ritornare nuovamente a 15 nell’ultima settimana dell’anno. Nonostante Erdogan abbia annunciato misure straordinarie per difendere la lira turca dalla speculazione e dalla volatilità, è molto complicato che nel breve periodo possa esserci un’inversione duratura di tale tendenza, soprattutto perché quando l’inflazione inizia a crescere velocemente si corre il concreto rischio di passare ad uno scenario iper-inflattivo, con effetti devastanti non solo sul sistema finanziario, ma anche su quello economico e sociale.
Concludendo, il 2021 potrebbe quindi davvero rappresentare lo spartiacque fra una fase di tassi che si sono mantenuti bassi per lungo tempo, con programmi di stimolo globali da parte delle Banche Centrali e una nuova fase caratterizzata da un’inflazione crescente e duratura, dall’abbandono progressivo dei programmi di quantitative easing e dalla prosecuzione diffusa di rialzi di tassi su scala mondiale, anche da parte di quelle Banche Centrali fino ad oggi rimaste ferme come la BCE e la FED, con quest’ultima ormai pronta ad operare il primo rialzo già nel mese di marzo ‘22. Relativamente all’area euro non sembrerebbero ancora in programma aumenti dei tassi; vale però la pena ricordare che è dal luglio del 2011, quando il governatore era ancora Jean-Claude Trichet, che la BCE non innalza il suo tasso base di riferimento. Dopo oltre un decennio e dopo una pandemia senza precedenti che ha rimescolato le carte in tanti ambiti, potremmo davvero trovarci alla fine di un’era.
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