Articolo a cura di Stefano Simionato, Responsabile Ufficio Studi ALFA SCF
TEMA DEL MESE – NOVEMBRE 2019 – TRENTA ANNI DOPO IL MURO
Nel novembre del 1989 – esattamente trenta anni fa – veniva abbattuto il «muro di Berlino».
Eretto all’inizio degli anni Sessanta per impedire la fuga verso Ovest dei cittadini dell’Est, il muro è stato a lungo il simbolo delle differenze culturali, sociali ed economiche tra l’Occidente democratico e capitalista e i paesi totalitari comunisti del Blocco sovietico. A distanza di tre decenni, l’anniversario di questo importantissimo evento storico è oggi l’occasione per analizzare se e come si siano ridimensionate quelle grandi differenze tra i due blocchi che hanno caratterizzato buona parte del Novecento europeo.
Come evidenziato dalla tabella in basso, superata la prima fase di riorganizzazione dell’economia in seguito al crollo del muro, a metà degli anni Novanta, i paesi del Patto di Varsavia avevano un reddito medio pro-capite mediamente inferiore alla metà di quello dei quattro maggiori paesi dell’Europa continentale.
Nei decenni successivi, la progressiva apertura delle economie e una maggiore libertà di iniziativa imprenditoriale hanno però contribuito a ridurre in maniera molto significativa questo gap. Oggi le differenze tra i grandi paesi UE e il blocco orientale sono decisamente inferiori e le stime del FMI prevedono un’ulteriore riduzione nei prossimi anni. Nel 2024 il reddito medio in Repubblica Ceca sarà secondo le previsioni anche maggiore di quello italiano.
Ha aiutato a ridurre le storiche differenze anche l’allargamento a Est dell’Unione Europea tra il 2004 e il 2007. Per i paesi dell’ex blocco sovietico, che hanno peraltro beneficiato di grandi aiuti comunitari, la possibilità di accedere al mercato unico ha significato esportazioni più facili nei principali mercati di sbocco e ha contribuito a mantenere negli ultimi quindici anni tassi di crescita elevati nonostante i numerosi periodi di crisi. E’ anche per queste ragioni che i cittadini di Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia sono tra i più soddisfatti dell’appartenenza dei loro paesi all’Unione Europea.
Le differenze a livello economico si stanno dunque gradualmente ridimensionando. Diversa è però la situazione per quanto riguarda le questioni «sociali»: i sistemi politici dei paesi dell’ex blocco sovietico oggi possono senza dubbio definirsi democratici, tuttavia la qualità di queste democrazie è ancora inferiore rispetto a quella dei paesi occidentali. Da un lato ciò è comprensibile poiché si tratta di paesi che vengono da lunghe dittature. Dall’altro tuttavia, il fatto che il processo di evoluzione da questo punto di vista si sia di recente interrotto potrebbe essere un campanello d’allarme.
Rimangono differenze significative tra Est e Ovest anche osservando indicatori come l’indice «Moral Freedom» (che dà un giudizio, tra le altre, sulle libertà in materia religiosa, bioetica e sessuale) e le valutazioni di «Reporter senza frontiere» in merito alla libertà di stampa. Con l’esclusione della Repubblica Ceca (dove la situazione sembra ottima), il livello delle libertà «morali» è appena accettabile in paesi come Polonia, Bulgaria e Romania, e molti dei paesi dell’Europa orientale vivono ancora oggi una situazione problematica o difficile per quanto riguarda la libertà di stampa.
Trenta anni dopo la caduta del muro di Berlino, l’Europa quindi non è più divisa in due blocchi antitetici. Tuttavia, le differenze tra i paesi dell’Ovest e quelli dell’Est rimangono sotto diversi aspetti importanti, non trascurabili e difficili da sostenere nel lungo periodo. Un avvicinamento tra le varie anime dell’Unione sarà quindi una delle sfide del prossimo decennio. Si tratta di una questione da osservare con attenzione sia per gli effetti geopolitici che per quelli economico-finanziari.
Immagine di copertina: Foto di Bernd Marczak from Berlin da Pixabay
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