India, gigante dai piedi d’argilla (video)

Articolo a cura di Stefano Simionato, Responsabile Ufficio Studi ALFA SCF

TEMA DEL MESE – FEBBRAIO 2020 – UN GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA

Nel corso del decennio appena cominciato l’India diventerà la nazione più popolosa al mondo. Nel 2030, vi risiederà quasi un quinto della popolazione globale e il paese arriverà a contare oltre 1,5 miliardi di individui. Queste poche cifre sono già di per sé sufficienti a comprendere che le dinamiche del continente indiano rivestiranno un peso sempre più importante per l’intera economia mondiale. Vale quindi sicuramente la pena analizzare più da vicino questa enorme nazione.

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1947, l’economia indiana ha avuto storicamente un’impostazione socialista. I rigidi controlli governativi imposti all’impresa privata, al commercio internazionale e agli investimenti esteri hanno fortemente frenato la crescita fino all’inizio degli anni Novanta, quando una serie di riforme ha dato un grande impulso all’economia. Molte imprese multinazionali hanno delocalizzato parte delle loro attività in India approfittando in particolare dei bassi costi del lavoro. Il reddito medio è così passato dai circa 1.800 dollari del 1990 agli attuali 7.700.

Nell’ultimo decennio l’economia indiana è inoltre tra quelle che hanno registrato la crescita più elevata al mondo (7,1% medio annuo tra il 2010 e il 2019). Questo sviluppo ha permesso – tra le altre cose – di ridurre del 70% i tassi di mortalità infantile e di frenare uno dei più grandi problemi del paese, la fame.

Nonostante quasi tre decenni di successi e un’economia che per dimensioni totali è oggi la terza al mondo, però, l’India rimane tuttora una nazione alle prese con grandi difficoltà. L’economia è più complessa e strutturata rispetto al passato, ma la gran parte degli occupati è ancora impiegata in attività agricole a basso valore aggiunto. Il livello di libertà economica – dopo essere cresciuto negli anni Novanta – negli ultimi anni è rimasto stabile su livelli medio-bassi. Gli indici di democrazia sono sicuramente buoni, tuttavia vanno in parallelo con una grande inefficienza del settore pubblico (eccessivamente burocratizzato) e con elevati livelli di corruzione.

Le contromisure messe a punto dal governo Modi negli ultimi anni per ridare slancio al paese sono state piuttosto controverse. Il piano di «demonetizzazione» lanciato nel 2016 non ha frenato come sperato l’economia sommersa, ma ha provocato in compenso grande confusione tra la popolazione e una diminuzione dei consumi interni. La valorizzazione della lingua hindu a svantaggio dell’inglese sta invece erodendo uno dei vantaggi competitivi dei lavoratori indiani.

In una nazione nella quale ancora oggi il 30% della popolazione ha problemi di fame o malnutrizione, quindi, la flessione degli investimenti e della produzione industriale (i primi cresceranno appena del 2,6% nel 2020 dopo il +10% nel 2019, mentre la seconda vedrà un incremento appena dell’1%) sono elementi di grande preoccupazione. La politica monetaria espansiva della banca centrale, possibile grazie al recente contenimento dell’inflazione, farà da sostegno all’economia, tuttavia il tasso di crescita del 5% previsto per l’anno in corso non può essere considerato positivo.

All’alba del nuovo decennio, l’India si presenta quindi come una nazione con possibilità di crescita tuttora enormi ma ancora più grandi elementi di incertezza e di fragilità. Si tratta di una nazione giovane (il 35% della popolazione ha meno di venti anni) che per continuare a crescere dovrà valorizzare adeguatamente le energie e le competenze dei suoi numerosissimi cittadini. Una sfida difficile, alla quale gli investitori al momento non sembrano in realtà credere particolarmente: la performance in Euro della borsa indiana è stata del 6,4% medio negli ultimi dieci anni e del 9,8% nel 2019. Cifre decisamente inferiori alla media dei listini mondiali.

Immagine di copertina: Photo CC0 by Yogendra Singh

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